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    La Camera approva: è riforma costituzionale

    Un emiciclo semideserto alla Camera dei Deputati ieri, 12 aprile, ha assistito a un momento storico, che cambierà la base politica dello Stato, nonché l’iter legislativo per i prossimi anni: la riforma costituzionale è stata approvata.

    Con 361 voti favorevoli, 7 contrari, e 2 astenuti, la Camera ha dato il sì definitivo, dopo due anni di polemiche e rimbalzi, al ddl Boschi. Già lo scorso 20 gennaio il Senato, in quella che potrebbe essere una delle sue ultime votazioni, aveva approvato la Riforma Renzi-Boschi con 180 voti a favore e 112 contrari.
    La riforma era stata già presentata dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi come il simbolo di un “passaggio storico per il Paese”, ma, come è stato rivelato da uno scatto rubato ai suoi appunti, anch’egli la considerava “imperfetta”. Essa introduce importanti novità nell’ordinamento statale: il nuovo Senato non potrà essere eletto dai cittadini insieme alla Camera dei Deputati, e non deterrà più potere legislativo vero e proprio, poiché non potrà più intervenire nel processo di approvazione delle leggi. Il numero dei senatori passerà da 315 a 100, di cui 74 sono consiglieri regionali, 21 sindaci e 5 nominati direttamente dal Capo dello Stato.
    I consigli regionali nomineranno i nuovi senatori tra gli stessi membri del consiglio e tra i sindaci della regione, tenendo conto delle indicazioni degli elettori, i cui meccanismi di scelta sembrano ancora lacunosi, poiché, secondo la nuova riforma, saranno regolati da una legge ancora da scrivere. Il numero dei seggi per regione sarà in base alla popolazione, ma il minimo per tutte sarà di 2 (un consigliere e un sindaco). La riforma prevede anche che i senatori non potranno percepire, in quanto tali, indennità aggiuntive, oltre al compenso derivato dalle loro cariche attuali, ma potranno godere di indennità parlamentare.
    Le nuove norme porteranno così ad accantonare, dopo quasi 70 anni, la formula del “bicameralismo perfetto o paritario”: solo la Camera, infatti, voterà la fiducia al Governo e avrà pieno controllo dell’iter legislativo. Il Senato potrà solo esaminare le nuove leggi e proporre modifiche, ma la Camera potrà approvare la legge anche senza tenere conto di queste osservazioni. Le uniche eccezioni, in cui sarà necessario il voto di entrambi i rami, si avranno per le leggi di revisione costituzionale, sull’incompatibilità o illegittimità dei senatori, sulle norme Ue e regionali, o sui referendum popolari.
    Conseguentemente, cambierà anche la composizione della Corte Costituzionale (formata da 5 membri nominati dal Capo dello Stato, 5 eletti tra le Supreme Magistrature, 3 dalla Camera e 2 dal Senato) e la modalità per l’elezione del Presidente della Repubblica, per cui serviranno i voti di 2/3 dell’Assemblea ai primi 3 scrutini, fino ad arrivare ai 3/5 dei votanti dal settimo scrutinio in poi.

    Il ministro per le Riforme Maria Elena Boschi, che sostituiva il capo del governo in viaggio verso Teheran ha commentato: «Siamo molto soddisfatti e contenti del risultato di oggi. Anche per l’approvazione avvenuta con una bella maggioranza ampia, ma siamo dispiaciuti quando le opposizioni lasciano l’Aula, anche perché noi tutti siamo pagati per fare il nostro lavoro in Aula».
    Al presidente Pietro Grasso è stato invece chiesto come si sentisse a “essere l’ultimo presidente del Senato”, ma la sua risposta ha lasciato intendere che il percorso della legge non sia ancora concluso: «Aspettiamo il referendum». Dopo essere stata inserita nella Gazzetta Ufficiale, infatti, la riforma passerà al vaglio di un referendum confermativo, voluto da Renzi, che ha già incaricato i capigruppo del Partito Democratico per la raccolta delle firme di un quinto di deputati e senatori, per capire quanto i cittadini condividano il nuovo ordinamento.
    La votazione, per cui non sarà previsto alcun quorum, avverrà nel mese di ottobre ed è già fonte di dibattito delle opposizioni (M5S, FI, Lega, Fratelli d’Italia e Sinistra Italiana), che vedono in essa uno spartiacque per la promozione o bocciatura del governo Renzi. Le maggiori critiche su cui si baseranno la loro campagne saranno rivolte sia alla riforma in sé e per sé (alla “sparizione incompiuta” del Senato, ai dubbi sulle leggi attuative e sulla tipologia dell’organo governativo e all’accentramento del potere nelle mani di un solo partito), sia alla politica e all’operato dell’attuale Presidente del Consiglio.
    Che questa riforma si riveli funzionale allo Stato italiano o meno, il decisionismo di Renzi ha dato un segnale ancora più forte ma impercettibile: la Costituzione può essere migliorata, aggiornata, adattata alle nuove condizioni della Repubblica Italiana. E per una volta, che sia per propaganda o meno, anche gli italiani potranno avvalsi del diritto/dovere di dire la loro su una legge appena sancita, non solo abrogarla. Così dice (ancora) la carta fondamentale dello Stato.

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