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martedì, Aprile 30, 2024
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    Memoria ed ironia: l’ultimo numero di Charlie Hebdo

    FRANCIA- L’umorismo non è stato spezzato, ma fin dove può spingersi il perdono? È un perdono tristemente sarcastico quello di Charlie Hebdo, che ribalta il ruolo del nemico, rendendolo partecipe del proprio dolore.

    Il giornale è risorto dopo l’attentato di matrice islamica dello scorso 7 gennaio, messo in atto dai fratelli Kouachi e che è costato la vita a 12 persone, tra cui l’ex direttore della rivista, Stephane Charbonnier, e ha affidato proprio a Maometto il compito di mostrare al mondo la propria irriducibilità. Il volto emblematico del profeta, uscito dalla penna del vignettista Luz, è il simbolo di una ferita rimarginata in fretta, ma ancora troppo fresca per dimenticare il male che l’ha generata.

    Nella prima conferenza stampa dopo la tragedia, tenutasi nella sede del quotidiano Liberation, lo stesso disegnatore, circondato dai suoi collaboratori, ha voluto spiegare la genesi di quella copertina tanto sofferta: ” Avevo in testa l’idea di disegnare Maometto. In fondo è il mio personaggio. E allora l’ho disegnato, con la lacrima agli occhi e la scritta “Je suis Charlie”. Ma non bastava. Ho aggiunto: ” Tout est pardonné”. E allora ho pianto anch’io. Non è la prima pagina che si aspettava il mondo. E sicuramente non è quella che volevano i terroristi. Loro in fondo sono solo persone che hanno dimenticato di essere stati bambini e che hanno perso il senso dell’umorismo”. “Maometto è diventato un personaggio, anche nelle notizie -ha aggiunto-, perché ci sono persone che parlano in suo nome. […] Certo che è tutto perdonato, mio caro Maometto. Possiamo vincere perché, oggi, io ho potuto disegnarti.”

    Allora che cosa significa veramente “Essere Charlie”? Per i parigini e per il mondo significa lottare contro il terrore e contro l’urto violento che ha spezzato la matita del disegno blasfemicamente corretto, per i capi di Stato simboleggia un impegno, quello per la sicurezza dei propri cittadini, per il nuovo Direttore del giornale, Gèrard Biard, significa accettare una visione laicista dello stato, ma per i membri superstiti della redazione significa soprattutto ricordare i propri amici e i propri colleghi. Antonio Fischetti, a pagina 6, li ricorda tutti: Charb, il cui saluto alla fine delle email e degli SMS era proprio il grido che l’ha ucciso: “Allah Akbar”, Tignous, il buono dal soprannome burbero, e Elsa, che aveva la passione per le parole. Ognuno di loro conosceva il valore del proprio lavoro e sapeva quanto l’umorismo fosse una cosa molto seria.

    Tra il ricordo dei morti c’è anche il sollievo per chi è sopravvissuto, in particolare per Lila, la cocker fulva ricordata nel commovente articolo di Sigolène Vinson. Il padrone di Lila, Éric, le permetteva di intrufolarsi e di gironzolare per le scrivanie e le sale riunione e tutti offrivano sempre qualcosa alla loro piccola mascotte, che fosse un biscotto o un briciolo del loro tempo. Lila non è morta durante l’attacco, si è sdraiata a terra perché ha intuito il pericolo e poi ha segnalato ai suoi amici il cessate il fuoco, e ora è diventata simbolo del loro spirito, che nonostante le perdite non è stato intaccato.

    Charlie ha voluto inoltre documentare e ringraziare tutti coloro che hanno partecipato alla grande manifestazione popolare dell’ 11 gennaio scorso, a cui, in mezzo a tante persone hanno fatto la loro comparsa anche gli esclusi “Le Penisti” e i clown della politica. “Più gente per Charlie che per la messa” si legge, e in effetti nella grande adunanza c’era anche il nemico, l’Islam, i cui rappresentanti e credenti, per la maggior parte, hanno condannato questo atto di sanguinosa crudeltà. I disegnatori hanno fatto dell’ironia però sul presidente Francois Hollande, che solo oggi avrebbe pronta per Charlie una donazione di 1 milione di euro, quando da mesi la testata era sull’orlo della chiusura.

    “I nostri colleghi- scrive Zineb El Rhazoui- ci hanno lasciato le ovazioni, mentre erano dileggiati in vita, sono morti poco amati affinché noi fossimo finalmente compresi. Tutti vogliono aiutarci, leggerci, offrirci un caffè, un bicchiere, una banconota… Ci trattano bene dopo la loro morte, ma adesso lo sappiamo, lo temiamo: quando torneranno i tempi duri, torneranno senza di loro.”

    Un giornalista come lui senza dubbio sente sulla propria pelle gli effetti del sensazionalismo mediatico, ne approfitta per dare una nuova risonanza alla carta stampata, intrisa del sangue di persone che ha amato, ma conosce bene il prezzo di tutta questa attenzione, che lascerà il vuoto una volta che se ne andrà davvero. Chi ci sarà allora sulle barricate, a combattere ancora per la liberté d’expression?

    Giorgia Golia

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